A vent’anni dalla prima denuncia all’ONU, la persecuzione dei Boscimani continua

25 marzo 2016

Il 27 marzo 1996 Roy Sesana (nella foto) e John Hardbattle denunciarono per la prima volta all’ONU la difficile condizione del loro popolo. © Livia Monami /Survival

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Il 27 marzo saranno passati vent’anni da quando i Boscimani del Kalahari Centrale portarono per la prima volta la loro difficile condizione all’attenzione dell’ONU.

Nel 2006 la Corte Suprema del Botswana ha stabilito che i Boscimani erano stati sfrattati dalle loro terre ancestrali nella Central Kalahari Game Reserve (CKGR) “ingiustamente e illegalmente e senza il loro consenso.”

Oggi il governo sostiene che solo un piccolo numero di Boscimani, nominati nei documenti processuali, hanno il diritto di fare ritorno a casa. Con un sistema che è stato paragonato alle “Pass Laws” dell’apartheid sudafricano, costringe i loro figli e i parenti stretti a richiedere permessi anche solo per visitarli, pena sette anni di reclusione.

Nel 2014 il Relatore Speciale ONU per i Diritti Culturali Farida Shaheed aveva chiesto al governo di ‘chiarire la questione’. Secondo Shaheed, “le persone colpite hanno paura che, una volta scomparsi gli anziani, nessuno avrà più il diritto di vivere nella riserva.”

All’inizio del mese il Ministro degli Esteri del Botswana avrebbe detto al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU che le osservazioni di Shaheed erano “in contrasto con il reinsediamento e la sentenza sul caso della CKGR. Il Governo non ha trasferito con la forza i Basarwa dalla CKGR.”

Quando compiono 18 anni i ragazzi boscimani devono chiedere un permesso per restare con le loro famiglie, pena 7 anni di prigione. © Lottie Davies/Survival

Per ben oltre un decennio, diverse sezioni delle Nazioni Unite hanno espresso preoccupazione – tra questi due Relatori Speciali ONU per i diritti dei popoli indigeni, il Relatore Speciale per il diritto al cibo, il Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale, il Comitato per i Diritti Umani e il Consiglio per i Diritti Umani.

Anche il Dipartimento di Stato americano e la Commissione Africana per i Diritti Umani e dei Popoli hanno ripetutamente sollecitato il governo a applicare pienamente la sentenza del tribunale.

“Il governo del Botswana pensa di poter mentire sulla miseria inflitta ai Boscimani, ma il giudizio del tribunale è chiaro” ha commentato il Direttore generale di Survival Stephen Corry. “Speriamo che il Presidente Khama celebrerà il 50esimo anniversario dell’indipendenza del Botswana dando finalmente ascolto ai Boscimani, all’ONU e soprattutto alla sua Corte Suprema. Questo è estremamente importante, non solo per la sopravvivenza dei Boscimani ma anche per tutti coloro che hanno a cuore la democrazia e lo stato di diritto in Botswana.”

Cronologia: il Botswana e le critiche delle Nazioni Unite

27 marzo 1996: I portavoce boscimani John Hardbattle e Roy Sesana si rivolgono alla Commissione ONU per i diritti umani a Ginevra in merito ai problemi del loro popolo. John Hardbattle muore l’11 novembre di quell’anno.

Nel 2002, il Relatore Speciale ONU per i diritti dei popoli indigeni Rodolfo Stavenhagen visita un campo di reinsediamento e constata che i Boscimani sono vittime di “pratiche discriminatorie” e vengono “espropriati delle loro terre tradizionali”.

In seguito, sempre nel 2002, il Comitato ONU per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale esprime preoccupazione per la “continua espropriazione del popolo Basarwa/San dalla sua terra”.

Negli anni successivi, Stavenhagen e il Comitato continuano a portare la drammatica situazione dei Boscimani all’attenzione del governo. Nel 2005 Stavenhagen esprime “la sua profonda preoccupazione per il ricollocamento forzato di centinaia di Boscimani lontano dalle loro case tradizionali e dai terreni di caccia nel Kalahari Centrale.” Sottolinea anche che il governo del Botswana non ha risposto ai suoi commenti. In seguito, il governo impone restrizioni all’accesso di Stavenhagen in Botswana.

Nel 2005 e 2006, il Comitato interroga la delegazione del Botswana alle Nazioni Unite in merito al trattamento riservato ai Boscimani dal governo.

Nel 2007, il successore di Stavenhagen James Anaya e il Relatore Speciale ONU per il diritto al cibo Jean Ziegler scrivono al governo del Botswana. Ritengono che la decisione della Corte Suprema non sia ancora stata implementata, e sostengono che – per questo – i Boscimani si trovano ancora “ad affrontare numerosi impedimenti nell’effettivo godimento dei loro diritti alle loro terre tradizionali e alle risorse.”

Nel 2008, il Comitato ONU per i Diritti Umani sollecita il Botswana a garantire che “a tutte le persone trasferite venga garantito il diritto al ritorno nella CKGR (Central Kalahari Game Reserve).”

Nel 2009, il Consiglio ONU per i Diritti Umani pubblica una revisione del Botswana, in cui la Finlandia sollecita il Botswana a “garantire il rispetto dei diritti dei popoli indigeni che vivono nelle aree di interesse di compagnie attive nel business dei diamanti”. La Danimarca sollecita il governo a “dare ai residenti della riserva accesso alla terra e sostegno, come specificato nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni.”

Nel 2010 Anaya critica duramente il rifiuto del governo di permettere ai Boscimani di prendere l’acqua dalla loro terra, dichiarando che questi si trovano a vivere in “condizioni di vita difficili e pericolose”. Sollecita il governo a “applicare pienamente e fedelmente” la sentenza della Corte Suprema del 2006 e agevolare “il ritorno di tutti coloro che erano stati allontanati dalla riserva e che desideravano farlo, permettendogli di dedicarsi alla caccia e alla raccolta di sussistenza in accordo con le pratiche tradizionali e fornendo loro gli stessi servizi governativi a cui accede il resto degli abitanti del Botswana tra cui, al più presto, l’accesso all’acqua.”

Sempre nel 2010, il Comitato ONU per l’Eliminazione delle Discriminazioni Razziali scrive al governo del Botswana dichiarando che: “Nel 2006 la Corte Suprema ha stabilito che il loro sfratto era illegale e incostituzionale… Il Comitato è preoccupato per la supposta mancata attuazione della decisione della Corte Suprema.”

Nel 2013, durante la Procedura di Revisione Periodica del Botswana alle Nazioni Unite, gli Stati Uniti esprimono “preoccupazione per un’interpretazione restrittiva della Corte Suprema, che ha impedito a centinaia di [Boscimani] di vivere e cacciare nelle loro terre ancestrali”, e il Regno Unito afferma che il progresso nei negoziati tra il governo del Botswana e i Boscimani del Kalahari è “questione della massima urgenza”. Anche Irlanda, Norvegia, Spagna, Messico, Finlandia e Congo producono raccomandazioni in merito al trattamento riservato ai Boscimani dal governo

Nel 2014, il Relatore Speciale ONU per i diritti culturali Farida Shaheed visitando la riserva sottolinea che “le persone colpite hanno paura che, una volta scomparsi gli anziani, nessuno avrà più il diritto di vivere nella riserva. Inoltre, insistere che le persone si trasferiscano fuori dalla riserva per poter conservare la fauna è in contraddizione con il permettere alle attività minerarie e al turismo di continuare.”

Shaheed chiede al governo di “chiarire la questione”. All’inizio del mese il Ministro degli Esteri del Botswana avrebbe dichiarato al Consiglio ONU per i Diritti Umani che “le osservazioni del Relatore Speciale sono in contrasto con il reinsediamento e la sentenza sul caso della CKGR. Il Governo non ha trasferito con la forza i Basarwa dalla CKGR.” Tuttavia, la sentenza aveva riconosciuto inequivocabilmente che i Boscimani erano stati sfrattati “ingiustamente e illegittimamente e senza il loro consenso.”

Nel 2015, nel corso di una riunione del Fondo Permanente delle Nazioni Unite per le Questioni Indigene, il portavoce boscimane Jumanda Gakelebone esprime le sue preoccupazioni per il divieto di caccia in Botswana. La Corte Suprema del Botswana aveva stabilito che vietare la caccia ai Boscimani nella riserva “equivale a condannarli a morte.”

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